Considerazioni – scomode – di una “privilegiata”

23 Giugno 2015 - di Alessia Dulbecco

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Una cara amica oggi ha pubblicato un post a proposito degli insegnanti e della cattiva fama che spesso li precede (e che si potrebbe riassumere con quelle chiacchiere da bar che suonano così: “lavorate 18 ore, avete almeno 3 mesi l’anno di vacanze… ma di cosa vi lamentate?”).

Il post in questione è il seguente:

TROVATEMI UN ALTRO LAVORO IN CUI CI SIANO TUTTE, DICO TUTTE, LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
Una o più lauree;
Una o più specializzazioni;
Una o più abilitazioni;
Uno o più master di perfezionamento;
Uno o più corsi di aggiornamento;
Uno o più concorsi vinti o superati;
Un periodo di precariato di durata “media” tra i 3 e i 20 anni circa;
Un’alta probabilità di andare in pensione da precari (cioè disoccupati);
Uno stipendio tra i 400 e i 1300€ max;
Un contratto collettivo nazionale scaduto da 8 anni;
Il cambio della sede di lavoro ogni anno, (da precario e non solo), spesso lontana e scomoda da raggiungere;
Il cambio di uno o più “datori di lavoro” ogni anno o più volte l’anno;
La variazione del “tipo” di lavoro, anche ogni anno (sostegno, discipline varie);
Il cambio di “clientela” ogni anno o più volte l’anno;
La “clientela” numerosa di quartieri difficili o di periferie pericolose;
Il luogo di lavoro con ambienti talmente fatiscenti che a volte ti crollano sopra;
Nessun rimborso spese per benzina o buoni pasto;
Nessuna certezza di avere carta igienica o carta per le fotocopie sul luogo di lavoro;
Il Wi-Fi assente in molti posti di lavoro, sostituito da chiavette personali a carico del lavoratore;
Le numerose varianti dell’handicap psico-fisico da gestire (BES, H, ADHD, DSA…);
Conoscenze approfondite ed aggiornate;
Competenze relazionali, pedagogiche, didattiche, educative e giuridiche;
Il pagamento dello stipendio per le supplenze che arriva anche dopo molti mesi;
Il licenziamento ai primi di giugno o, se si ha fortuna, a fine agosto;
L’incertezza assoluta di un nuovo lavoro a settembre;
Nessun diritto a permessi retribuiti di alcun tipo (se si è precari);
Nessun diritto a prendere ferie quando si vuole, se il Dirigente non le concede (precari e non);
La frequente necessità di trasferirsi in un’altra regione per trovare lavoro;
Il lavoro di correzione e preparazione (mappe concettuali, slide, ppt, riassunti, verifiche tradizionali, strutturate, semi-strutturate, miste, diversificate, differenziate, personalizzate e test) anche di domenica;
I rischi civili e penali (Culpa in vigilando, Culpa in educando);
Gli straordinari h24 non retribuiti (per non parlare dei rischi) come accompagnatore nelle uscite didattiche;
Le spese non rimborsate, durante le uscite didattiche;
Il rischio di ricorsi al TAR da parte della “clientela”;
Il lavoro A LUGLIO (per Esami di Stato, corsi di recupero, esami finali di recupero, scrutini giudizi sospesi ecc…) o A FINE AGOSTO in scuole dove si toccano i 43 gradi;
Il lusso di poter andare in bagno, perché per poter fare i bisogni devi chiedere a qualcuno di buon cuore se ti sostituisce, altrimenti non ti puoi assentare;
Il rischio di minacce, danneggiamenti all’autovettura e aggressioni fisiche;
I rischi legati al pendolarismo (incidenti, danni e/o usura mezzo, patologie cervicali, dorsali e lombari);
I rischi di patologie legate al lavoro usurante (burnout; noduli alle corde vocali; allergie al gesso o agli agenti chimici dei laboratori, disturbi alla vista);
La consapevolezza che non si può “fare carriera”, perché l’unica “carriera” che un docente desidera è il rispetto da parte dell’opinione pubblica e della classe politica, la dignità delle condizioni di lavoro, il rinnovo del contratto e una riforma degna di questo nome.

A me pare che tutte le professioni che hanno a che fare con l’educazione (educatori, educatori professionali, pedagogisti…) possano tranquillamente avere tutti questi requisiti: lavori scomodi, con un’utenza particolare (spesso anche in orari notturni, – che per lo meno ai docenti non è richiesto..almeno per ora! –  senza il minimo affiancamento..penso ai tanti che come me lavorano o hanno lavorato in comunità), sedi spesso difficili da raggiungere, rischi alti (per la propria incolumità o quella di altri), datori di lavoro che cambiano di volta in volta, contratti a termine che lasciano letteralmente “a piedi” il professionista nei mesi in cui non lavora, senza nessun tipo di sussidio o aiuto sindacale. Tutto questo si sposa spesso (“spesso”, non sempre, dato che in molti casi aziende e cooperative preferiscono assumere un OSS – quando va bene – con la stessa qualifica di un educatore, solo per potergli “garantire” ancora meno diritti) con profili professionali di tutto rispetto: lauree, qualifiche, master, aggiornamento professionale costante (spesso pagato di tasca propria).

Questo è il primo grande problema: le professioni afferenti l’educativo e il formativo, in Italia, non ripagano degli sforzi realizzati. Spiace, ma è così.

Seconda questione: le generalizzazioni non mi piacciono. Io sono del parere che le generalizzazioni siano sempre sbagliate: se due operatori dell’Asl (faccio per dire…) timbrano il cartellino e se ne vanno a far la spesa gettano discredito sulla categoria, esattamente come fanno  il docente arrogante e nullafacente o l’educatore incompetente rispetto alla propria categoria professionale.

A mio parere, la riflessione non dovrebbe riguardare le categorie professionali, ma le persone. E in un mondo ideale (mi direte: sicuramente ben lontano da quello nel quale siamo costretti a vivere) le persone dovrebbero poter aspirare a criteri meritocratici di valutazione.

Se proprio vogliamo fare un discorso “di classe” (la “classe di docenti” vs. “la classe degli educatori”, o “degli impiegati del catasto”..o quella che volete) direi che il problema è intergenerazionale: se  – come ha scritto Jacopo in un recente post su facebook –  l’Italia possiede il 130% del debito pubblico

significa una cosa, in soldoni: la generazione prima di noi si è pagata il benessere con i nostri soldi. Chi ora è costretto a farsi campare da suo padre o da sua nonna non è un bamboccione: richiede solo indietro i suoi soldi.

E’ evidente che una certa generazione ha vissuto ben al di sopra delle proprie possibilità ipotecando in parte il nostro futuro.

Il futuro di chi ora  precario e non accetta di essere anche definito “privilegiato”. Perché non lo è.

Qualche link a margine di questo mio sfogo:

http://www.rivistastudio.com/standard/lotta-di-classe-anagrafica/

http://munafo.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/03/26/essere-giovane-in-italia-fa-schifo-e-questi-7-grafici-ne-sono-la-prova-definitiva/?ref=fbpe

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6 responses

  1. IDA ha detto:

    Sintesi per non fare un romanzo:
    L’aumento del debito pubblico non può essere certo addebitato all’istruzione: 4.2% del pil.
    Non sono certo gli operai, l’insegnanti, i semplici dipendenti pubblici che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità.
    Il lavoro dell’insegnante non finisce con le canoniche 18 ore.
    Certo ci sono categorie più, svantaggiate a confronto di quello dell’insegnante, ma di certo questo non ne fa un privilegiato.
    è assurdo parlare di merito quando si fanno riforme in cui si accentra il potere nelle lobby di segreteria. (moratti, germini,renzi, riforme che mirano a svilire il ruolo dell’insegnante e a distruggere la scuola pubblica.)
    è assurdo parlare di qualità nella scuola, la qualità costa, e l’insegnanti sono sottopagati..

    1. alessiadulbecco ha detto:

      cara Ida, procedo anche io per sintesi:
      – non ho detto che il debito pubblico sia imputabile all’istruzione! ho detto che se oggi ci troviamo con un debito pubblico così alto è a causa di una generazione che ha vissuto ben al di sopra delle proprie possibilità. inutile nascondersi dietro ad un dito: se parlo coi miei genitori (dipendenti pubblici ora in pensione) e con tante altre persone appartenenti alla fascia 50-70anni mi ritrovo ad ascoltare discorsi da irresponsabili, come se lo Stato fosse stato una simpatica vacca grassa, da spremere fin che ciò è stato possibile. se parlo con giovani della mia età, anche impiegati statali ma assunti con contratti molto più “light” questi discorsi non li sento più. Ovviamente non dico che i primi sono i cattivi e gli altri sono i buoni, dico semplicemente che le cose sono cambiate e che se forse non si fossero scialacquate tante risorse pubbliche ora non staremmo qui a parlare di privilegiati!
      – nell’articolo non ho detto che la professione dell’insegnante è ricca di privilegi e fatta da privilegiati! anzi, ho ribadito l’importanza di smetterla di parlare di “classi” di lavoratori. Non esiste la “classe” dei buoni bravi operai e dei brutti e cattivi imprenditori. C’è del buono e del marcio in ogni categoria, dato che le categorie sono composte di persone,
      un caro saluto!

      1. IDA ha detto:

        Anche quello della vacca grassa penso che sia un luogo comune, o meglio un modo per colpevolizzare le vittime. In realtà, chi ha considerato e continua a considerare lo stato come una mucca da mungere sono le grandi imprese, (non certo le piccole e medie, neppure i dipendenti privati e pubblici). Il grande capitalismo vive sull’assistenza statale. Basta pensare al modello americano e in Italia Fiat e Ilva.
        Le tasse si pagano, e i dipendenti le pagano tutte, in cambio di servizi, pretendere questi servizi, non vuol dire mungere la vacca. Da quando si è invertito il processo, con i discorsi tipo, meno tasse, il risultato è che si paga il doppio di tasse con meno servizi ed è aumentato il debito pubblico. Io personalmente sono disposta, in cambio di maggiori servizi a pagare più tasse.
        Ma se come ultimamente, per fare degli accertamenti diagnostici ho speso 250 euro di ticket, che sono il 20% del mio stipendio, mi chiedo che le pago a fare le tasse?
        Poi siamo sicuri che diminuendo i costi dei dipendenti pubblici si risparmi? No! Basta vedere i bilanci delle amministrazioni pubbliche, i costi del personale è stabile da anni, ma i costi totali lievitano tutti gli anni.
        Non penso che ci siano buoni o cattivi, la responsabilità è individuale, ma sono i sistemi sociali e produttivi che possono essere buoni o cattivi.. un saluto e grazie dell’attenzione..

        1. alessiadulbecco ha detto:

          quando dici che la responsabilità è individuale e non ci sono buoni e cattivi ci intendiamo perfettamente. E’ esattamente il mio pensiero. E’ chiaro che un dipendente le tasse le paga tutte, ripeto: sono figlia di dipendenti e so bene le tante difficoltà che il ceto medio ha dovuto e deve ancoraoggi attraversare. ed è chiaro che i servizi devono esserci.
          quando mi riferisco alla “vacca grassa” penso a persone (ribadisco: persone conosciute per davvero, non discorsi generici) che ritengono giusto prendere permessi come quelli sanciti dalla 104 non certamente per dedicarsi al parente disabile ma per andare al mare o a fare shopping (persone che ti dicono: ah, mi raccomando, non taggarmi su fb che il datore di lavoro pensa che abbia portato mio papà a fare un accertamento…”)..ecco, mi chiedo: questo comportamento come incide sulla situazione lavorativa di chi, come me, sta lavorando immersa nel precariato da quando ha iniziato?

    2. alessiadulbecco ha detto:

      un saluto a te e grazie per il dibattito!

      1. IDA ha detto:

        Graie a te… e scusa se sono polemica, ma su questi argomenti mi infiammo.. 🙂

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