29 Novembre 2020 - di Alessia Dulbecco
Su L’indiscreto potete trovare il mio ultimo articolo, all’interno del quale mi sono occupata di riflettere su una delle emozioni universali (la rabbia, appunto) e su come essa venga interpretata a seconda del genere di chi la esprime.
Esprimere rabbia è un privilegio e come tale è appannaggio solo di alcune categorie. Tendiamo a considerare la rabbia espressa sul lavoro da un uomo (bianco) molto più giustificabile di quella manifestata da una donna, ancor meno se questa fosse appartenente ad una minoranza.
Un estratto
Lo scorso luglio, in un intervento alla Camera dei Deputati in cui si discuteva della necessità o meno di prolungare lo stato di emergenza dovuto alla pandemia, l’Onorevole Giorgia Meloni, a capo di Fratelli d’Italia, ha pronunciato un discorso dai toni molto accesi. Niente di nuovo, potremmo dire: sappiamo, infatti, che i leader sovranisti usano spesso toni forti, teatrali e retorici per innescare nelle masse una reazione più emotiva che razionale.
Il discorso di Meloni non è sfuggito alla rete che subito ha prodotto innumerevoli meme, condivisi anche dalla stessa leader sul suo account Facebook. Al centro delle immagini la sua reazione rabbiosa. Già, perché secondo il parere di molti la reazione di Meloni è stata esagerata. Lo ammetterà anche lei stessa in un post sui social. Eppure, siamo abituati ad ascoltare parole forti, soprattutto nel nostro Parlamento che negli anni ci ha abituato anche alle risse, agli sputi e alle sedute sospese proprio per problemi di comportamento tra i/le deputati/e. Allora, che cosa ha scatenato la rete?
I produttori dei meme si sono concentrati sulla faccia della leader, che la rabbia ha trasfigurato in una sorta di maschera. Non a caso, i meme più condivisi sono stati quelli in cui Meloni – in quella posa, con quel viso – è stata photoshoppata al posto del cantante dei Megadeth, “sdoppiata” su entrambe le gemelle di Shining o nelle locandine di Hulk e dei film con Bruce Lee. È la rabbia espressa dall’Onorevole, quindi, al centro dell’interesse dei social.
Si tratta di un’emozione universale poiché – come gioia, tristezza, disgusto, sorpresa e paura – viene sperimentata a qualsiasi latitudine e comunicata con la stessa mimica facciale e posturale. Se stiamo parlando di un’emozione così trasversale, viene da chiedersi perché la reazione di Giorgia Meloni abbia destato tanta attenzione. Per capire, forse, dobbiamo impiegare una lente di genere. Per quanto la rabbia sia un’emozione comune a chiunque infatti, la sua espressione cambia a seconda che a esternarla siano gli uomini o le donne. Ci sono tre elementi che dobbiamo considerare quando si parla di rabbia: il processo interiore, che attiva reazioni fisiologiche e stati emotivi, il contesto (ovvero che cosa la scatena e verso chi è rivolta) e le costruzioni sociali. Come sottolinea Soraya Chemaly, «anche se la rabbia è vissuta interiormente, viene mediata all’esterno in senso culturale dalle aspettative degli altri e dai divieti sociali». Sulla dimensione fisiologica – universale e innata – si innesta dunque un apparato culturale fatto di schemi di comportamento, relazioni, privilegi, che definisce il modo in cui possiamo esprimere questa emozione. Se nella sua accezione positiva tale sentimento è stato associato generalmente ai maschi (in particolare quelli bianchi), la rabbia femminile è stata a lungo considerata una condotta da punire. Le indagini compiute attraverso le cartelle mediche recuperate alla chiusura degli ospedali psichiatrici hanno messo in luce come l’esser “poco sottomessa”, “ribelle”, “incontrollabile” o “irosa” fosse un buon motivo per rinchiudere le donne dentro l’istituzione manicomiale. Ancora oggi, come ricorda Chesler Phyllis, i numeri delle donne che cercano aiuto in ambito psicoterapeutico o vengono ricoverate in ospedale perché “nevrotiche” o “psicotiche” sono alti.
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Buona lettura!