La felice e violenta vita di Maribel Ziga

31 Marzo 2021 - di Alessia Dulbecco

Scrivo, leggo e faccio formazione intorno ai temi della violenza di genere, della parità, del contrasto agli stereotipi da ormai una decina d’anni. Quando qualcunə mi chiede di suggerirglə un testo che possa introdurlə a questi argomenti, non so mai cosa dire. I saggi sono spesso per gli addettə ai lavori, pieni di tecnicismi, a tratti noiosi. I libri che raccontano le esperienze delle survivors non sono tra le mie letture preferite: troppo carichi di buoni sentimenti, possono veicolare – anche se involontariamente – molti stereotipi.

Appena ho iniziato a leggere La felice e violenta vita di Maribel Ziga, ho intuito subito che quello che avevo tra le mani non era un libro come gli altri. L’ho capito subito, quando mi sono commossa a pagina due. Itziar Ziga, attivista, giornalista e scrittrice basca, conosciuta in Italia con la pubblicazione di Diventare Cagna (Golena Edizioni), torna a colpire nel segno, questa volta scrivendo un memoir dedicato a sua madre, Mirabel, ma anche a se stessa.

Poco prima di morire, in una di quelle chiacchierate che facevamo quando l’accompagnavo a letto, mi disse: “sai, non ho più bisogno di pensare che ero così innamorata di tuo padre, non ci penso più”. 

Il suo processo di liberazione era finito, era padrona della sua storia. Sapeva che avrei scritto questo libro, perché è anche la mia storia. E perché sento il desiderio rivoluzionario di chiarire  che non eravamo solo donne che hanno subito violenza e che molto spesso eravamo anche tremendamente felici.

Itziar comincia a narrare la storia della vita di Maribel, dal suo epilogo, mentre – guardandola sdraiata nel suo letto di ospedale – torna con la memoria all’avvenimento più bello della sua infanzia:

(…) Guardai i suoi occhi velati dal coma e parlai di quel pomeriggio dell’estate del 1987. Avevamo deciso di sdraiarci nello stretto balcone (…). Fu una madre burlona, come le madri migliori, che faceva ragazzate. Non riuscivamo a smettere di ridere. Spiavamo i passanti attraverso un buco tra i mattoni e gridavamo cose assurde. Quasi trent’anni dopo, le ricordai quel pomeriggio radioso e le dissi che poteva andare. 

itziar

La vita di Maribel, nata sul finire degli anni 30, è comune a quella di molte donne. Ottima studentessa, appassionata, curiosa, vede infrangere il suo sogno di proseguire gli studi a causa del franchismo e della società profondamente patriarcale entro cui era (forse dovrei dire “siamo ancora”) costretta a muoversi. Si innamora ben preso di un uomo bello, passionale, carismatico… e violento. “Quello stronzo di mio padre” – come lo chiama Itziar nel volume – commette nei confronti della moglie e delle figlie le peggiori atrocità.

 Non so quante volte ho assistito a come picchiava brutalmente la mia amatxo. ogni momento era buono per scagliarsi contro di lei. Rimanevo sempre a guardare, vigile, incapace di fare nulla. A volte trascinava la mia amatxo nella nostra cameretta mentre dormivamo. La picchiava tra il mio letto e quello di mia sorella”.

Itziar si allontana presto da quell’uomo che le ripeteva sempre era destinata ad arrecargli problemi. La madre ci metterà anni a prendere le distanze da lui, come del resto accade a molte donne invischiate in relazioni affettive problematiche e altamente disfunzionali.

L’autrice rincorre i ricordi e mostra alla lettrice tutti i volti della violenza. Oltre a quella fisica, sessuale e psicologica, Maribel ha vissuto anche quella economica. La sua possibilità di scappare, di lasciarlo per sempre, infatti, si è scontrata con il problema di non essere stata assunta regolarmente dentro la pescheria del marito in cui ha lavorato tutta la vita.

Le violenze accadute a Maribel sono ancora attuali ed è per questo che Itziar si sforza di ricordarle, perché possano aiutare chi legge a riconoscere i segnali e a correre ai ripari. C’è un altro motivo per cui l’attivista scrive: è quello di mettere in luce quanto ancora la nostra società sia profondamente patriarcale e sessista. È la società  che ci insegna a dividere le donne separando quelle che hanno subìto violenze dalle “altre”. Il fatto, però, è che tutte ne subiamo una qualche forma per il solo fatto di vivere in questo tipo di società.

La vita delle donne – di tutte le donne – è  contraddistinta da momenti felici e violenti. Affinché i primi siano maggiori dei secondi, è indispensabile lottare.

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