2 Febbraio 2015
Poco dopo le 20, qualche sera fa: il giornalista del solito telegiornale manda in onda un servizio sulla nuova Ferrari. E’ stato presentato il nuovo modello che lotterà per aggiudicarsi il Mondiale.
Fin qui, nulla di strano. Ascolto l’intero servizio (purtroppo non saprei recuperarlo, però posso suggerirvi di leggere qui, tanto il contenuto è lo stesso) e l’intervista al team principal, Maurizio Arrivabene
Guardiamo a quella dell’anno scorso (la precedente monoposto), era brutta e perdeva pure. Quella di quest’anno è veramente bella, è una Ferrari veramente sexy”.
Ancora una volta si parla di un’autovettura con gli stessi aggettivi che si usano per descrivere una donna (sexy, bella o brutta). E’ la stesa analogia che viene compiuta dai professionisti del marketing e delle pubblicità, quando per sponsorizzare una moto o una nuova automobile usano il corpo di bella ragazza, possibilmente svestita. Il messaggio è semplice: quell’oggetto è bello come la donna rappresentata, e se possiederai l’oggetto avrai la possibilità di fare colpo su donne bellissime.
E poi, ancora: le parole di Arrivabene pongono in stretto rapporto “l’essere brutta” con “l’essere perdenti”. Come a dire, chi è brutta non è vincente. In realtà essere vincenti, come sappiamo, dipende da altre doti. Doti personali per una donna, questioni “meccaniche” per una vettura.
Il parallelismo, in ogni caso, è indicativo della pervasività degli stereotipi di genere: nelle pubblicità, come nelle parole di un importante manager.